Conclusa l’inchiesta aperta dalla Procura di Vallo della Lucania sulla tragedia avvenuta, nel gennaio 2024, in un’abitazione di via Donizetti ad Agropoli, dove Annalisa Rizzo, 43 anni, morì a causa di dieci coltellate inferte dal marito Vincenzo Carnicelli, il quale, subito dopo il gesto, si tolse la vita mentre la figlia giovanissima della coppia dormiva nella sua stanza.
La madre di Annalisa, Maria Giovanna Russo, ha deciso di lanciare un accorato appello alle istituzioni ed in particolare al Comune di Agropoli sottolineando il “vuoto istituzionale” che c’è stato a suo dire dopo la tragedia. “Egregi Amministratori del Comune di Agropoli, Gentili Concittadini, in particolare Donne della mia comunità, scrivo questa lettera con il cuore spezzato e l’anima ferita, dopo aver perso mia figlia, una donna di soli 43 anni, vittima di un orribile femminicidio.
Non ci sono parole per descrivere il vuoto che ha lasciato nella mia vita e in quella della nostra famiglia, né per esprimere il dolore che ci accompagna ogni giorno. Ma oggi non scrivo solo per piangere la sua assenza: scrivo per denunciare il silenzio assordante che ha seguito la sua tragedia, un silenzio che, come madre, mi ferisce quasi quanto la perdita stessa. Mi rivolgo innanzitutto a voi, rappresentanti dell’amministrazione comunale.
Mi sarei aspettata, in un momento così devastante, un gesto di vicinanza, un segnale che la comunità che mia figlia ha abitato e amato non l’avesse dimenticata. Una parola di cordoglio, un’iniziativa per ricordare lei e tutte le donne vittime di violenza, un impegno concreto per prevenire altre tragedie. Invece, ho trovato solo un vuoto istituzionale, un’indifferenza che pesa come un macigno. Come madre, mi chiedo: è questo il valore che attribuite alla vita di una donna? È questo il modo in cui proteggete la memoria di chi è stato strappato alla vita con tanta brutalità? Ma il mio dissenso non si ferma qui. Mi rivolgo anche a voi, abitanti di questa comunità, ogni volta in cui una donna viene uccisa non è solo una tragedia personale, ma una ferita per tutta la società. L’indifferenza e il distacco contribuiscono a lasciare che questa violenza continui a prosperare in una cultura che troppo spesso giustifica, minimizza o ignora. L’82% dei femminicidi avviene in contesti familiari o affettivi, spesso per mano di chi ti diceva di amare.
Non è un raptus, non è un’eccezione: è il frutto di una cultura che dobbiamo cambiare insieme, smettendo di pensare che “se l’è cercata”. Mi ferisce profondamente il pensiero che, in un’epoca in cui si parla tanto di sorellanza e di lotta contro la violenza di genere, il mio lutto sia stato accolto con così poca empatia.
La perdita di mia figlia non è solo la mia perdita: è una ferita per tutte noi, per ogni donna che vive nella paura, per ogni madre che trema al pensiero di non poter proteggere i propri figli. Non scrivo per accusare, ma per implorare un cambiamento. La morte di mia figlia non può essere solo un’altra statistica, un altro nome dimenticato. Chiedo all’amministrazione comunale di agire: promuovete iniziative di sensibilizzazione, create spazi sicuri per le donne, investite in politiche che prevengano la violenza di genere. Non lasciate che altre madri vivano il mio stesso inferno. E a voi, donne della mia comunità, vi chiedo di essere presenti, vi chiedo di non voltare più lo sguardo. Siate unite, siate la voce di chi non può più parlare, non lasciate che il prossimo femminicidio sia accolto nuovamente dal silenzio! Mia figlia meritava di vivere”.



