Dopo la condanna della Corte Europea alle autorità italiane, ree di non avere preso tutte le misure necessarie per garantire l’effettiva tutela dei diritti dei cittadini, sulla questione delle Fonderie Pisano si riaccende il dibattito sullo spostamento della fabbrica.
Tanti i fronti: nessuno vuole sul proprio territorio la fabbrica e, di conseguenza, quegli scarichi che costeranno all’Italia, stando a quanto deciso da Bruxelles, 8700 euro a 151 abitanti della zona di Fratte, tra i comuni di Salerno, ove sorge la realtà produttiva, Baronissi e Pellezzano, centri su cui ricadono gli effetti nocivi dell’impianto sulla salute dei residenti e sull’ambiente.
Elemento ritenuto essere tale dal tribunale europeo. Nel frattempo, la vicenda delle Fonderie Pisano si intreccia con due fronti giudiziari di rilievo.
Da un lato, prosegue l’iter del ricorso presentato nel 2021 dall’Associazione “Salute e Vita” alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che accusa lo Stato italiano di non aver tutelato adeguatamente il diritto alla salute dei cittadini esposti alle emissioni dello stabilimento di Fratte.
Dall’altro lato, sul piano italiano, si è registrata una svolta importante con la sentenza del Consiglio di Stato che ha annullato la variante urbanistica con cui si tentava di rendere edificabile, ad uso industriale e produttivo, un’area del comune di Buccino, destinata in origine a insediamenti agroalimentari e dunque a basso impatto ambientale.
Tale decisione, accogliendo i ricorsi presentati da associazioni, cittadini e istituzione comunale, ha di fatto bloccato la possibilità di trasferire lì le Fonderie Pisano, confermando le preoccupazioni espresse da tempo dalla comunità locale. La prospettiva di spostare l’impianto da un’area densamente abitata a una zona di pregio ambientale e agricolo aveva suscitato polemiche fin dall’inizio.
Ora, con la pronuncia dei giudici amministrativi, la proposta di delocalizzazione a Buccino appare definitivamente compromessa, mentre resta ancora aperta la questione della messa in sicurezza ambientale e sanitaria dello stabilimento originario. Lo spostamento, delocalizzazione o dislocamento, come dir si voglia, continua a tenere banco: nessuno vuole la fabbrica.